eragigi 🤍 Cosa pensa un uomo che muore? è la domanda che mi sono fatto in questi giorni e a cui già molti film e altrettanti libri hanno imaginato di dare risposta. Ma la storia di mio nonno è già stata un film, a cui si stenterebbe a credere perché non è un film, ma un pezzo di vita che taglia la storia: di un paese, della città e della campagna, di famiglie sgangherate, umanità spaventate e coraggiose. La storia di mio nonno è fatta di tante vite, di cui io conosco appena le biografie, i riassunti, le scelte. Sono tante le domande che non ho fatto e le cose che non ci siamo detti, ma se è vero che la verità è nei silenzi, è vero anche che la maggior parte delle volte non ce n’è stato bisogno: sapevi di me - da te - tutto quello che dovevi sapere e io so di te tutto quello che volevi sapessi. Va bene così, perché la storia è il racconto che scegliamo di fare, insieme a tutto ciò che esce dalle ferite, aperte, dalle fratture, e un po’ da quello che non nascondono più le intercapedini quando buttiamo giù i muri. Anche se non saprò cosa pensa un uomo che muore almeno finché non saremo uguali, oggi la morte mi insegna che sono vivo davvero. Me ne ricorderò quando mi sembrerà diverso: ci hai prestato un respiro e ne farò tesoro. Allora, anche se presto realizzerò che si è aperto un vuoto, già so che questo vuoto non è una voragine, ma uno specchio. E ti vedo. Franco Arminio scrive: “Io che sono morto ora sono padre e sono madre e figlio e sorella e sono foglia e formica e verme e sono il nero del niente. Ogni morto è linfa per i rami, è il motivo per cui ridiamo, è il seme del piangere e del piacere. Ogni morto è il motivo per cui ci abbracciamo, è il prendersi e lasciare, è il fuggire e il pregare, è l’alba e l’osso, è il vento e il suo girare.” “Io sono vivo quando mi ammalo, quando il mondo mi ferisce. Ma se un giorno dovessi stare bene dentro il bene vorrei ci fossi tu a vedere questo miracolo.” P.